Google tax? Forse…
BERNA – Che Google e gli altri colossi del web macinino miliardi di euro non contribuendo in modo proporzionale alle casse statali crea da tempo mal di pancia nei politici europei e nelle lobby dell’editoria. In Italia – è notizia recente – si è sfiorato lo scandalo quando una proposta di legge pareva equiparare i grossi produttori e i piccoli sviluppatori, risquotendo cassa indiscriminatamente.
Ora il governo svizzero è stato chiamato a dare un’opinione in merito, a seguito di un’interpellanza di Jean Christophe Schwaab (PS/VD). Il parere di Schwaab è che mediante le rispettive piattaforme (motori di ricerca, social network, messaggistica), i giganti di Internet “beneficiano in modo notevole del lavoro intellettuale (soprattutto giornalistico) degli altri, senza però contribuire in prima persona a questa pluralità”. Questi colossi, che con i loro servizi fatturano miliardi, darebbero “un contributo nettamente insufficiente al finanziamento dell’infrastruttura pubblica”.
Una legge in tal senso, quindi, avrebbe lo scopo di obbligare i colossi del web, tra i quali Google, Facebook, Twitter e Microsoft a finanziare in forme più o meno dirette il giornalismo cosiddetto “di qualità”, sempre più in crisi a causa dei social network, della comunicazione globale, e della difficoltà di generare profitto dalla pubblicità.
Nella risposta all’interpellanza, il governo ha affermato che il problema è in effetti di attualità, come la necessità di “elaborare una strategia di promozione tesa a rafforzare l’importanza dei media a livello di politica statale e democratica”. Giudica però prematuro “esprimersi sul fatto se, e se sì come, possano essere coinvolte le grandi imprese di Internet a partecipare alla promozione del giornalismo di qualità”.
Il consiglio federale ha anche colto l’occasione di esprimere il proprio parere sul caso tedesco. In Germania, la cosiddetta “Google Lex” (o “Google tax”) impone ai motori di ricerca e agli aggregatori di notizie il pagamento di una licenza, per mezzo di un provvedimento che obbliga “le imprese di Internet a pagare gli editori per risarcirli dell’utilizzo di opere protette dal diritto d’autore”. Per bloccare l’approvazione della legge, Google aveva organizzato una campagna on-line, sintentizzando le proprie ragioni in una frase ad effetto: imporre ai motori di ricerca un’imposta sul traffico internet generato verso le case editrici è come se un ristorante chiedesse un contributo al taxi che gli porta i clienti.
Sul caso tedesco il governo svizzero tuttavia è lapidario, i risultati in Germania sono, almeno per il momento, mediocri. La strategia della Svizzera, quindi, è porsi in posizione attendista, sostenendo l’editoria in modo tradizionale e osservando l’evoluzione dei casi simili affrontati a livello internazionale.
Red. Tec.
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