Il segreto bancario non si tocca: «inaccettabile» il comportamento dell’Europa

BERNA – La Svizzera deve poter partecipare all’elaborazione della lista nera dei paradisi fiscali: è il messaggio lanciato oggi in Lussemburgo dal ministro delle finanze Hans-Rudolf Merz, che insieme ad Austria e Granducato intende far fronte comune per difendere il segreto bancario dalle pressioni internazionali.

«Bisogna evitare che venga elaborata una lista nera senza il coinvolgimento della Svizzera», ha affermato il presidente della Confederazione in una conferenza stampa al termine di un incontro con l’omologo austriaco Josef Pröll e quello lussemburghese Luc Frieden. L’attuale dibattito sul segreto bancario si tiene nel G20 ed esclude così i diretti interessati, ha deplorato Frieden.

Un comportamento di questo tipo è contrario alle consuetudini diplomatiche e al diritto internazionale, ha aggiunto Merz, auspicando un dialogo costruttivo con le organizzazioni internazionali competenti in materia. Stando a un comunicato del Dipartimento federale delle finanze, i tre Stati hanno definito «inaccettabile» l’atteggiamento unilaterale di singoli paesi del G20 in vista dell’incontro del prossimo 2 aprile a Londra.

I tre ministri hanno inoltre ribadito che non si considerano oasi fiscali e che il segreto bancario è un elemento importante per proteggere la sfera privata dei cittadini. Nel contempo sono però disposti a discutere sull’estensione della cooperazione internazionale, purché non preveda uno scambio automatico di informazioni. A questo proposito Merz ha ricordato che la Svizzera già adesso fornisce assistenza giudiziaria, ribadendo comunque l’annuncio dei giorni scorsi di formare un gruppo di esperti che discuta una revisione “morbida” del segreto bancario.

Attualmente una lista nera dei paradisi fiscali viene elaborata dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Tale lista è fortemente voluta soprattutto da Francia e Germania, che pochi giorni fa a Parigi hanno invitato i Paesi del G20 a rimettere in discussione tutti gli accordi bilaterali con i Paesi giudicati «non cooperativi».

Red. Int.

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