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Allarme racket e usura in Svizzera

MILANO/LUGANO – Racket. Un problema storico dell’Italia del sud. Un problema che da anni stringe tutta la penisola italiana e che da qualche tempo sembra aver preso piede anche in Svizzera. La longa mano della mafia, quella che la Confesercenti ha definito “la prima azienda italiana” e che costituisce una delle prime imprese europee, amplia la propria zona di influenza.

L’associazione italiana “SOS racket e usura”, infatti, denuncia decine di richieste d’aiuto provenienti da tutta la confederazione. «Dallo scorso novembre, quando la nostra associazione ha aperto il sito Internet, diverse decine di denunce sono giunte dalla Svizzera», ha dichiarato all’ATS Frediano Manzi, presidente di “SOS racket e usura”, fondata nel 1997 a Milano.

Racket, usura, ovvero prestito di denaro con tassi di interesse esorbitanti, per controllare coercitivamente le imprese. Secondo Manzi il tasso medio applicato raggiungerebbe addirittura il 10% al giorno (per i cambisti) e il 5-15 % al mese.

Difficile dire se le cause di quest’aumento di segnalazioni sia dovuto alla crisi economica o alla nascita di una nuova zona di interesse per le associazioni criminali. Gli usurai sarebbero italiani residenti in Svizzera, ma anche cittadini elvetici e di nazionalità slava.

Segnalazioni giungono da tutta la Svizzera: Lugano (18 segnalazioni), Pazzallo (15), Manno (13), Zurigo (12), Ginevra (9), Ostermundigen (8). Ma contatti e richieste di aiuto arrivano anche da: Kriens, Baar, Ebikon, Cham, Dubendorf, Bruderholz, Hitzkirch, Interlaken, Hitzkirch, Pully, Herrenschwanden. Praticamente da ogni cantone svizzero.

Una zona di concentrazione delle attività usuraie è, storicamente, quella attorno ai casinò di Campione d’Italia e Lugano, dove i cosiddetti “prestasoldi” prestano danaro ai giocatori ma soprattutto a soggetti in grandi difficoltà economiche che non giocano ma sanno che lì è facile reperire danaro senza troppe garanzie.

Da un’analisi degli accessi al sito, l’associazione denuncia anche collegamenti molto frequenti dall’isola di Saint Marteen, nelle antille olandesi, dove sono presenti numerosi casinò di proprietà delle famiglie mafiose Santapaola e Spadaro, che in passato avrebbero avuto alcuni uomini di riferimento nei casinò di Lugano e Campione d’Italia.

L’associazione SOS Racket e Usura negli anni passati avrebbe prodotto numerose denunce presso le procure di Milano e Lugano che additavano chiare e inequivocabili infiltrazioni mafiose nei due suddetti casinò.

Luca Spinelli
(fonte ats)

Terremoto in Abruzzo: l’ombra di mafia e camorra

L’AQUILA – «La più grande tragedia del millennio». Queste le prime parole usate dalle istituzioni per descrivere il terremoto che ha colpito il centro dell’Abruzzo. Più duecento i morti, duemila i feriti, centomila gli sfollati. Dati impressionanti. Da catastrofe del secolo.

In queste ore, come normale, si fa un gran parlare delle cifre, della possibilità di prevenire eventi simili, della gestione degli aiuti, della prontezza dei soccorsi, e della enorme, profondissima solidarietà italiana che si è sempre ritrovata forte nei momenti di necessità. Italiani, brava gente. Si sa. Italiani, piezz’e core. E se la solidarietà è tanta, tanti saranno i soldi che si riverseranno in Abruzzo nei prossimi mesi. Una valanga. Un fiume. Silenzioso.

Il primo ministro Silvio Berlusconi solo poche ore dopo annunciava lo stanziamento immediato di 30 milioni di euro, in attesa di dirottare cifre più consistenti. Una quarantina di paesi nel mondo offrivano la propria solidarietà economica e di mezzi. Il governo italiano avviava le procedure per richiedere all’unione europea l’accesso al fondo europeo di solidarietà per le catastrofi naturali. Un fondo che dispone di risorse per un miliardo di euro. Una valanga. Un fiume. Silenzioso.

Il giro di denaro intorno a una tragedia di queste dimensioni è immane: equivale al costo di una guerra. Milioni di euro nel breve tempo, miliardi nel lungo termine. Per il terremoto dell’Irpinia del 1980 furono spesi più di 50.000 miliardi di vecchie lire. Ma solo la metà finì realmente nella ricostruzione. Nacquero fabbriche fantasma, quartieri fantasma, interi paesi fantasma. Un tecnico del comune si fece costruire una villetta per le vacanze al posto di un capannone. Alcune strade dell’epoca ancora oggi finiscono nel nulla. Altre provocano 300 incidenti l’anno. C’erano fiumi che oggi non ci sono più. 5000 abitazioni andarono a chi non ne aveva diritto e prefabbricati in amianto a chi lo avrebbe avuto, quel diritto.

Per quel terremoto si continua a pagare ancora oggi. 107 milioni di euro solo nel 2004. Il corrispettivo di 10.000 anni di stipendio per un impiegato con mille euro al mese. Tutti soldi che «andavano ad alimentare questo grosso ceto politico imprenditoriale affaristico e la camorra», secondo Giovanni Russo Spena, membro della commissione istituzionale che si occupò del sisma.

Per il terremoto abruzzese di questa mattina, già lo si capisce, il fiume di denaro avrà ben quattro diversi affluenti: gli stanziamenti statali e regionali, il fondo europeo per le emergenze, le donazioni dei cittadini e delle associazioni, il contributo internazionale in forma di fondi e mezzi. Affluenti con una portata non difficile da quantificare a priori: milioni di euro nel breve tempo, miliardi nel lungo termine. E intanto molte idrovore si stanno già, silenziosamente, collocando alla foce.

Un giro d’affari e un indotto a cui qualsiasi impresa sarebbe interessata. Certamente lo sarà «la prima azienda italiana»: un’impresa da novanta miliardi di fatturato ogni anno, che copre da sola il 7% del Pil italiano: la mafia. Il cui bilancio non è stimato da un visionario complottista ma dalla Confesercenti nel 2007. Di questi miliardi una considerevole fetta gestisce il settore dell’edilizia e immobiliare. Con quel perfetto sistema imprenditorial-criminale, radicato nel territorio e nell’economia di mercato, che la letteratura e Roberto Saviano hanno magistralmente descritto negli ultimi anni.

Una longa mano che opera in Italia, nel mondo e in tutta Europa. Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Edilizia, case, industria. Dal Mediterraneo all’Atlantico, in un area di migliaia di chilometri quadrati. Una multinazionale con sede centrale a Napoli e sedi distaccate ovunque nel mondo. Che ha affondato le unghie in tutte le principali tragedie italiane.

Anche l’abruzzese e la marsica sono territori noti alla mafia. Una zona sulla quale «c’è l’attenzione anche di alcuni esponenti della Camorra e della Sacra Corona Unita», secondo Francesco Forgione, presidente della Commissione parlamentare antimafia nel 2007. Una zona che secondo la Procura distrettuale antimafia dell’Aquila nasconde una parte del tesoro del boss Vito Ciancimino, stimato in 600 milioni di euro. Una zona su cui pesano come macigni i vari e recentissimi arresti per infiltrazione mafiosa. Negli appalti, nelle concessioni edilizie, nella sanità. Proprio ciò che sarà necessario per la ricostruzione.

Fatti che la furia del terremoto ha spazzato via. Ha messo a tacere meglio di qualsiasi direzione antimafia. Fatti che riportano alla mente i flash di quell’ospedale inagibile in piena emergenza, di quella casa dello studente crollata, di quel palazzo della procura distrutto in pieno centro all’Aquila.

Le mafie è dai primi anni novanta che non sono più un fuoco che divampa. Che esplode. Hanno cambiato strategia. Attenderanno il ricadere della polvere sulle macerie. E, come brace, lentamente coveranno sotto la cenere, per poi corrodere pazientemente tutto il legno nuovo che gli verrà buttato sopra.

Nel frattempo, questa notte all’Aquila una donna raccoglie compostamente le macerie della propria casa e guarda il cielo. Napoli dista solo tre ore di auto.

Luca Spinelli