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Reati fiscali: “amnistia mondiale per recuperare miliardi di dollari”

WASHINGTON/BERNA – L’idea è semplice e vecchia quanto l’economia stessa. C’è stata una forte evasione fiscale? Si chiude un occhio con chiunque restituisca il maltolto entro qualche mese e si usa il pugno duro per chi fugge nonostante la concessione.

Anche se si tratta di misure di emergenza e non congiunturali, nel breve termine i risultati di un’amnistia fiscale sono spesso assicurati: un’enorme fetta di sommerso ritorna a galla e lo si può nuovamente controllare nell’alveo delle normative vigenti, costituendo un deterrente per il potrarsi di condotte criminali. Ma non è tutto oro: la popolazione spesso vive l’amnistia come un’ingiustizia, non è una soluzione a lungo termine, e i risultati non sempre sono quelli sperati nemmeno a breve termine (come accaduto in passato in Germania e America latina).

Questa, comunque, è la scelta americana per affrontare i problemi dell’ultimo periodo. Stando al Wall Street Journal gli Usa offriranno un accordo fiscale non punitivo a chi ammetterà entro 24 settimane di aver occultato denaro su conti esteri. Dopo le forti pressioni esercitate sul maggiore istituto svizzero, UBS, perché rivelasse i nomi di migliaia di suoi clienti Usa in un’inchiesta fiscale, il governo statunitense cambia quindi strategia: promettendo multe di minore entità e nessuna accusa penale a carico di chi volontariamente contatterà le autorità nelle prossime settimane.

Una strategia che sarà probabilmente accolta con molto favore dalla Svizzera e dagli altri paesi sotto pressione per la questione del segreto bancario (Monaco, Andorra, Austria, San Marino, Liechtenstein, Lussemburgo…), in cambio di un allentamento delle tensioni internazionali.

Secondo l’agenzia stampa Reuters, inoltre, altri governi potrebbero nei prossimi mesi decidere di replicare la mossa statunitense. «Non conosco alcun ministro delle Finanze che non creda che si tratti di una cosa terribile da fare, ma che non capisca anche che forse è la cosa migliore da fare o la sola cosa da fare», ha commentato giovedì Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, riguardo la decisione americana di applicare l’amnistia.

Un strategia che, stando alle dichiarazioni di alcuni esperti tributaristi, potrebbe costituire un sistema efficace per rimpatriare miliardi di dollari di denaro non dichiarato, dando un breve respiro all’economia provata dalla crisi. Il “mea culpa” degli evasori, inoltre, potrebbe servire a creare una rete di intelligence attorno al fenomeno. Secondo il Boston Consulting Group, il denaro nascosto ammonterebbe a circa 7.000 miliardi di dollari, dei quali un terzo in istituti di credito elvetici.

«L’offerta Usa è molto interessante e spero che altri la considerino», ha affermato l’economista Jonathan Ivinson all’agenzia Reuter. «Spesso il denaro resta lì per anni. La gente è intrappolata. Dar loro l’opportunità di dichiararsi sembra essere più efficacie che costringere la Svizzera a rivelarne i nomi».

Intanto sul tema della cooperazione fiscale molti paesi hanno già promesso aperture, Svizzera e Liechtenstein in particolare hanno dichiarato la disponibilità a negoziare una soluzione condivisa. Il principato ha inoltre affermato che offrirà cooperazione se i Paesi coinvolti aiuteranno i clienti delle proprie banche a uscirne puliti.

Ma non tutti vedono di buon occhio l’amnistia fiscale promulgata dagli Usa: secondo John Christensen, direttore del Tax Justice Network, il progetto statunitense «è di cattivo esempio» perché «le amnistie fiscali non hanno funzionato in passato»; sarebbe piuttosto preferibile un approccio coordinato internazionale contro le politiche bancarie più sfrenate.

Intanto, l’Italia è per il momento l’unico Paese d’Europa ad aver definito come possibile l’ipotesi di emulare la strategia Usa, anche se non risulta ancora un piano concreto di attuazione. Proprio il Bel Paese, nel 2002, ha recuperato più di 50 miliardi di euro tramite un’amnistia fiscale. La Germania con politiche simili ha avuto invece risultati meno incoraggianti e una forte contrarietà dell’opinione pubblica.

Luca Spinelli