Segreto bancario svizzero, accordi e disaccordi
BERNA – Il ministro italiano dell’economia in visita in Svizzera ha annunciato rivoluzione: a breve un accordo con la Svizzera per arrestare la fuga di capitali all’estero e diminuire l’evasione italica. L’accordo riguarda la tassazione dei capitali esportati illegalmente verso l’estero. Per il ministro, i colloqui con l’omologa elvetica Eveline Widmer-Schlumpf sono andati “bene”, l’obiettivo è giungere a conclusione entro un paio di mesi, tuttavia non è possibile “dare una data precisa”. L’incontro è avvenuto nell’ambito del forum economico mondiale (WEF) di Davos.
In un periodo di crisi si cerca denaro in ogni direzione, e non sempre è facile capire quale sia la più fruttuosa, anche se la tentazione di guardare al paese straniero “più ricco” e con l’erba più verde come possibile fonte ha una storia centenaria.
In linea con il solco tracciato dal precedente governo Monti, il nuovo ministro dell’economia italiano, dopo anni di discussioni e sguardi dubbiosi in particolare nel periodo tremontiano, cerca di riaprire il dialogo con la Svizzera. E lo fa, in linea col solco tracciato dal precedente governo Monti, annunciando rivoluzione. L’Italia, invero, dopo le molte pressioni internazionali, sarebbe uno degli ultimi grandi paesi a firmare un accordo fiscale con la confederazione elvetica. Molti altri paesi hanno già rinnovato le cosiddette “convenzioni sulla doppia imposizione”, inserendo clausole per lo scambio di dati. Quella italiana resta ferma al 1976.
Se i media elvetici hanno dato un risalto molto moderato agli annunci, la stampa italiana unita ha riportato le parole del ministro italiano con sensazione. «Nessun condono e nessuna forma di amnistia», «integrale pagamento delle tasse dovute», «nessun anonimato», «passi avanti nel negoziato»: l’obiettivo è quello di chiudere l’accordo prima della visita in Svizzera del presidente del Repubblica Giorgio Napolitano, in programma a maggio. Ma in realtà annunci simili si ripetono dal 2012, e non hanno per ora portato alcun risultato concreto. La situazione dei frontalieri, poi, è anch’essa da anni in una situazione di stallo.
A questa situazione di attesa si aggiungono filosofie d’approccio completamente diverse. Chi crede che l’accordo permetterebbe il rientro di grossi capitali in Italia, chi crede che l’unico a guadagnarci sarebbe il paese rossocrociato, chi assume una posizione più moderata, rilevando le concessioni svizzere come positive e cercando ulteriori sbocchi di discussione. Pragmaticamente, si potrebbe anche dire: se un paese non è in grado di attirare capitali e investitori è tanto facile dare la colpa a chi è più efficiente quanto difficile notare la propria inefficienza.
Saccomanni ha parlato anche della cosiddetta voluntary disclosure, recente e criticata misura italiana inerente la regolarizzazione spontanea dei redditi non dichiarati, da molti definita uno scudo fiscale nascosto. Misura che per il ministro diverrebbe strumentale al “futuro sistema di scambio automatico di informazioni” con la Svizzera. Uno scambio automatico – invero – che la Svizzera ha sempre cercato di limitare in ogni accordo già preso con gli altri paesi. Le ragioni sono ovviamente prima di tutto di tipo economico, ma anche storico e sociale. Il fulcro del noto segreto bancario svizzero, infatti, sta nella convinzione, nata nella prima metà del secolo scorso, che il governo e la politica non abbiano diritto di ingerire olre a certi limiti nell’economia privata. Lo scambio di informazioni, la notorietà degli intestatari e delle somme di denaro mosse e custodite sono per la Svizzera da sempre fatti privati, che gli istituti bancari sono tenuti, anzi obbligati, a tenere riservate. Così come un medico deve fare con la cartella clinica del suo paziente. Se poi il paziente è sano come un pesce, qualche compagno di lettiga geloso si troverà sempre.
Luca Spinelli
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