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Svizzera, al via le votazioni via Web

BASILEA – «Un progetto pilota», da estendere gradualmente a tutto il paese dopo le necessarie verifiche. Così il governo elvetico definisce il sistema di voto elettronico che dalla prossima tornata elettorale sarà attivo in una parte della Svizzera.

Dopo Ginevra, infatti, arriva anche Basilea, uno dei più importanti cantoni della confederazione. Per il momento il sistema interesserà tutti i basilesi residenti all’estero, che già in occasione delle prossime votazioni federali di novembre, faranno uso del sistema di voto introdotto dal Cantone di Ginevra.

L’accordo tra i due cantoni è stato firmato oggi. A regime, il progetto permettera importanti risparmi per la pubblica amministrazione elvetica.

Attualmente soltanto i tre Cantoni pilota – Ginevra, Neuchâtel e Zurigo – disponevano di un sistema di voto elettronico. Con lo scopo di estendere gradualmente il progetto a tutta la cittadinanza, nei mesi scorsi è stata esaminata la possibilità di ospitare gli aventi diritto di voto di altri Cantoni all’interno di uno di questi sistemi.

A ottobre 2008 è iniziata l’elaborazione dell’accordo tra Basilea-Città e Ginevra, per regolare gli aspetti organizzativi, giuridici, finanziari e tecnici della partecipazione, sotto la supervisione delle istituzioni federale. Nel giro di pochi mesi l’accordo è stato stilato e firmato.

Dopo l’approvazione dell’accordo da parte del consiglio federale, il voto elettronico sarà attivo già dal prossimo 29 novembre.

Luca Spinelli

Terremoto in Abruzzo: l’ombra di mafia e camorra

L’AQUILA – «La più grande tragedia del millennio». Queste le prime parole usate dalle istituzioni per descrivere il terremoto che ha colpito il centro dell’Abruzzo. Più duecento i morti, duemila i feriti, centomila gli sfollati. Dati impressionanti. Da catastrofe del secolo.

In queste ore, come normale, si fa un gran parlare delle cifre, della possibilità di prevenire eventi simili, della gestione degli aiuti, della prontezza dei soccorsi, e della enorme, profondissima solidarietà italiana che si è sempre ritrovata forte nei momenti di necessità. Italiani, brava gente. Si sa. Italiani, piezz’e core. E se la solidarietà è tanta, tanti saranno i soldi che si riverseranno in Abruzzo nei prossimi mesi. Una valanga. Un fiume. Silenzioso.

Il primo ministro Silvio Berlusconi solo poche ore dopo annunciava lo stanziamento immediato di 30 milioni di euro, in attesa di dirottare cifre più consistenti. Una quarantina di paesi nel mondo offrivano la propria solidarietà economica e di mezzi. Il governo italiano avviava le procedure per richiedere all’unione europea l’accesso al fondo europeo di solidarietà per le catastrofi naturali. Un fondo che dispone di risorse per un miliardo di euro. Una valanga. Un fiume. Silenzioso.

Il giro di denaro intorno a una tragedia di queste dimensioni è immane: equivale al costo di una guerra. Milioni di euro nel breve tempo, miliardi nel lungo termine. Per il terremoto dell’Irpinia del 1980 furono spesi più di 50.000 miliardi di vecchie lire. Ma solo la metà finì realmente nella ricostruzione. Nacquero fabbriche fantasma, quartieri fantasma, interi paesi fantasma. Un tecnico del comune si fece costruire una villetta per le vacanze al posto di un capannone. Alcune strade dell’epoca ancora oggi finiscono nel nulla. Altre provocano 300 incidenti l’anno. C’erano fiumi che oggi non ci sono più. 5000 abitazioni andarono a chi non ne aveva diritto e prefabbricati in amianto a chi lo avrebbe avuto, quel diritto.

Per quel terremoto si continua a pagare ancora oggi. 107 milioni di euro solo nel 2004. Il corrispettivo di 10.000 anni di stipendio per un impiegato con mille euro al mese. Tutti soldi che «andavano ad alimentare questo grosso ceto politico imprenditoriale affaristico e la camorra», secondo Giovanni Russo Spena, membro della commissione istituzionale che si occupò del sisma.

Per il terremoto abruzzese di questa mattina, già lo si capisce, il fiume di denaro avrà ben quattro diversi affluenti: gli stanziamenti statali e regionali, il fondo europeo per le emergenze, le donazioni dei cittadini e delle associazioni, il contributo internazionale in forma di fondi e mezzi. Affluenti con una portata non difficile da quantificare a priori: milioni di euro nel breve tempo, miliardi nel lungo termine. E intanto molte idrovore si stanno già, silenziosamente, collocando alla foce.

Un giro d’affari e un indotto a cui qualsiasi impresa sarebbe interessata. Certamente lo sarà «la prima azienda italiana»: un’impresa da novanta miliardi di fatturato ogni anno, che copre da sola il 7% del Pil italiano: la mafia. Il cui bilancio non è stimato da un visionario complottista ma dalla Confesercenti nel 2007. Di questi miliardi una considerevole fetta gestisce il settore dell’edilizia e immobiliare. Con quel perfetto sistema imprenditorial-criminale, radicato nel territorio e nell’economia di mercato, che la letteratura e Roberto Saviano hanno magistralmente descritto negli ultimi anni.

Una longa mano che opera in Italia, nel mondo e in tutta Europa. Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Edilizia, case, industria. Dal Mediterraneo all’Atlantico, in un area di migliaia di chilometri quadrati. Una multinazionale con sede centrale a Napoli e sedi distaccate ovunque nel mondo. Che ha affondato le unghie in tutte le principali tragedie italiane.

Anche l’abruzzese e la marsica sono territori noti alla mafia. Una zona sulla quale «c’è l’attenzione anche di alcuni esponenti della Camorra e della Sacra Corona Unita», secondo Francesco Forgione, presidente della Commissione parlamentare antimafia nel 2007. Una zona che secondo la Procura distrettuale antimafia dell’Aquila nasconde una parte del tesoro del boss Vito Ciancimino, stimato in 600 milioni di euro. Una zona su cui pesano come macigni i vari e recentissimi arresti per infiltrazione mafiosa. Negli appalti, nelle concessioni edilizie, nella sanità. Proprio ciò che sarà necessario per la ricostruzione.

Fatti che la furia del terremoto ha spazzato via. Ha messo a tacere meglio di qualsiasi direzione antimafia. Fatti che riportano alla mente i flash di quell’ospedale inagibile in piena emergenza, di quella casa dello studente crollata, di quel palazzo della procura distrutto in pieno centro all’Aquila.

Le mafie è dai primi anni novanta che non sono più un fuoco che divampa. Che esplode. Hanno cambiato strategia. Attenderanno il ricadere della polvere sulle macerie. E, come brace, lentamente coveranno sotto la cenere, per poi corrodere pazientemente tutto il legno nuovo che gli verrà buttato sopra.

Nel frattempo, questa notte all’Aquila una donna raccoglie compostamente le macerie della propria casa e guarda il cielo. Napoli dista solo tre ore di auto.

Luca Spinelli