La crisi del segreto bancario svizzero
BERNA – La diplomazia elvetica corre. E corre veloce. Più della crisi. Senza dubbio.
Se solo un paio di mesi fa il Presidente della confederazione Merz annunciava l’intenzione di abolire il segreto bancario per come fino ad ora conosciuto, oggi già tredici nuovi accordi per l’assistenza amministrativa sono stati stipulati con altrettanti stati.
Ma non è tutto: i primi sei sono addirittura già stati approvati dal governo. E i restanti seguiranno a breve. Lo annuncia una nota odierna di Berna, secondo cui il Consiglio federale ha autorizzato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e il Dipartimento federale delle finanze (DFF) a controfirmarli.
Nel prossimo novembre il dicastero delle finanze trasmetterà un messaggio alle Camere. In tale occasione il Parlamento deciderà anche se confermare o meno la prassi storica di sottoporre il primo degli accordi a un referndum popolare confermativo.
Le nuove convenzioni a cui è stato dato il via libera sono quelle con Danimarca, Lussemburgo, Norvegia, Francia, Messico e Gran Bretagna. Dopo la firma delle convenzioni da parte di ciascuno stato contraente, i testi degli accordi verranno finalmente resi pubblici.
L’odierna nota di Berna parla anche, con più franchezza e meno barcamenaggio delle ultime settimane, di un «ampliamento dell’assistenza amministrativa nelle questioni fiscali», mentre in un messaggio di qualche tempo fa specificava inoltre l’aggiunta di una «clausola per l’arbitrato», che permetterà di trattare caso per caso, senza mai attuare uno scambio automatico di informazioni tra stati in materia fiscale.
Tutto dipenderà dalla futura pratica, comunque, al di là degli annunci rassicuranti.
Tuttavia questa vicenda dimostra un fatto. Se c’è bisogno di celerità, celerità è. C’è da supporre che con una tale efficienza e la storica accortezza svizzera, anche se i nuovi accordi spaventeranno una certa fascia di utenza, quella finanziariamente più potente ne resterà poco colpita, lasciando la piazza sostanzialmente indenne.
Tutto dipenderà comunque dalla concretezza dei testi – ancora confidenziali – ma la diplomazia elvetica, dopo un serio vacillamento iniziale che l’aveva fatta cedere alle pressioni internazionali, sembra uscire infine dalla vicenda a testa alta e rafforzata. Con un po’ di astuzia e molti compromessi.
Al di là delle analisi un fatto è certo: prima di oggi l’assistenza amministrativa era assicurata dalla Svizzera – e con nota ritrosia – solo in caso di evidente frode fiscale. Ora sarà data anche in caso di semplice elusione (semplificando, frode è la falsificazione volontaria di atti, elusione o evasione sono il semplice non pagare quanto dovuto). Questo è un fatto storico, che nessun comunicato diplomatico potrà mai negare. E che, chcché ne dicano in tanti, modifica radicalmente il significato storico di “segreto bancario”.
Così mentre l’attenzione mediatica e popolare è fagocitata dal caso che vede opposto il fisco Usa e l’istituto elvetico Ubs, decisioni diplomaticamente e storicamente molto più rilevanti passano quasi inosservate al grande pubblico. Ma non si può negare che anche e proprio nel caso Ubs la diplomazia elvetica abbia dato prova di acume e autorevolezza.
La richiesta del fisco Usa pretendeva più di 50 000 nominativi di correntisti Ubs sospettati di evasione fiscale: ne giungeranno a Washington meno del 10%. Solo quelli che per la Svizzera possono rientrare nella definizione di “frode fiscale”. Con calma. Con le modalità decise dalla Svizzera. Secondo l’attuale legge svizzera. Tutti contenti.
Purché si tralasci qualche innocente forzatura sulla definizione di “frode fiscale”, sulla quale lo stesso governo elvetico acutamente glissa.
C’est la diplomatie, baby.
Luca Spinelli
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