Svizzera: recessione «forte» per almeno tre anni
ZURIGO – Germania, Svizzera, Regno Unito e Spagna. Queste, nell’ordine, le tappe scelte dalla delegazione economica cinese in trasferta europea per consolidare le relazioni commerciali della repubblica popolare nel vecchio continente. Un centinaio gli imprenditori in viaggio, capeggiati dal ministro dell’economia Chen Deming. Un viaggio che solo nella prima tappa tedesca è valso 11 miliardi di euro di contratti. 300 milioni di dollari americani, invece, la somma raggiunta dalle contrattazioni nella confederazione elvetica. Per una visita che Radio Cina International non ha esitato a definire «piena di entusiasmo», strategicamente fondamentale per rafforzare i rapporti già dipinti come «eccellenti» dalle istituzioni svizzere. Ammontano infatti a più di 11 miliardi gli scambi del 2008 tra le due nazioni.
La crisi economica, si sa, può ammorbidire anche le ideologie politiche più severe. E così è stata una Cina dialogante quella che si è affacciata al forum di cooperazione e sviluppo del commercio Cina-Svizzera tenutosi a Zurigo il 26 febbraio scorso, il cui eco ha fatto il giro del mondo. Una Cina che ha parlato di apertura all’estero, rapporti bilaterali, e cooperazione. Sviluppo sostenibile, il tema principale dell’incontro tra gli imprenditori e la vice presidente della Confederazione e ministro dell’economia Doris Leuthard.
Una visita più che mai strategica, per allineare la strabordante potenza economica asiatica con la politica di risparmio energetico, lotta all’inquinamento e oculatezza imprenditoriale propri della Svizzera, tra i maggiori paesi al mondo nel settore dell’energia pulita.
Tuttavia, come ha affermato il presidente di Osservatorio Asia Alberto Forchielli, «l’assunzione di responsabilità dirette di Pechino sembra una necessità più che una scelta. Affermare il rigetto del protezionismo significa indurre gli altri paesi a mantenere l’apertura verso le merci cinesi. Acquistando dall’Europa, la Cina vuole contemporaneamente continuare ad esportare.» E infatti, nella seconda metà del 2009 una delegazione svizzera ricambierà la visita in Cina, approfondendo ulteriormente i rapporti bilaterali in ambito economico e commerciale.
Ma se la Cina sta affrontando la crisi con una relativa tranquillità, è l’autorevole bollettino economico Leap – che preannunciò la crisi economica nel lontano 2006 – a sferrare un durissimo pronostico per l’economia elvetica. Secondo gli economisti francesi, infatti, con Canada, Messico, Spagna e Repubbliche baltiche la confederazione sarà vittima un periodo di «forte recessione», che attaccherà il mercato interno per una durata non inferiore ai tre anni. Una delle più forti di sempre, quindi. Le nubi sulla Svizzera, ancora in pieno “caso UBS”, sembrano quindi piuttosto scure.
Quella di Leap, però, è una previsione che i dati concreti confermano solo in parte. Secondo le stime del dipartimento federale delle finanze, infatti, il bilancio della Svizzera ha sì registrato nel 2008 un deficit di 3,6 miliardi di franchi (2,3 miliardi di euro), ma la causa è dovuta ad uscite straodinarie (11 miliardi, di cui ben 5,9 solo per il sostegno a UBS) e non ad un difetto strutturale. Le entrate rispetto al 2007, infatti, sarebbero salite del 10%, pari a «7,3 miliardi di franchi».
Intanto una delegazione di parlamentari svizzeri ha partecipato giovedì ad un dibattito negli Stati Uniti organizzato dal Washington Post, con lo scopo di allentare le forti tensioni UBS di questi giorni.
Ma le previsioni fosche sui mercati svizzeri arrivano anche dall’interno: secondo Jean-Pierre Roth, presidente dimissionario di Swiss National Bank, «l’impatto della crisi finanziaria si trascinerà a lungo. Per questo motivo, lo sviluppo di una nuova economia e la riforma del sistema finanziario internazionale dovranno essere la primaria preoccupazione della banca nazionale, almeno per i prossimi anni».
Luca Spinelli
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